Daniele Meni ripercorre i suoi trent’anni al Giardino di Bombinasco: bontà in terrazza

Trent’anni e non sentirli, ma avere negli occhi ancora la passione per la cucina e la gioia di incontrare i propri amici. Sì, amici, non clienti, quelle persone che ti hanno aiutato a superare i momenti bui che caratterizzano spesso la vita. Tanti i sacrifici, ma anche la consapevolezza che per Daniele Meni, condurre il ristorante di famiglia aperto nel 1960 dal papà Nino (senza contare che anche il nonno Florido era cuoco e la passione Dany l’ha trasmessa ai figli Roberto e Michele) è stata, è e sarà una vocazione... Professionalità e attaccamento al proprio mestiere, svolto in famosi ristoranti entro e fuori Cantone, che fanno di Dany e Monique due ambasciatori della buona tavola. La cucina cambierà dopo il COVID? Sì, forse, ma nella bella e ampia terrazza coperta con pergolato si respirano ancora i profumi di una volta e si gusta la cucina ticinese, privilegiando la qualità delle materie prime, strizzando l’occhio anche a specialità internazionali come i suoi famosi "cordon bleu" e, in autunno, la sella di capriolo alla Baden-Baden

Trent’anni passati in un lampo? Rimpianti, ricordi, gioie, sacrifici… “Col senno di poi rifarei tutto, tranen qualche errore. I ricordi più belli? Uno su tutti. Vedere la gente che viene apposta a Bombinasco per mangiare da noi, pur non essendo una località di passaggio. Meriterebbero il tappeto rosso sino in fondo al portico. Molti arrivano anche dall’Italia, specie per la selvaggina perché scoprono piatti che non appartengono alla loro cultura gastronomica, in particolar quelli con l’abbinamento carne frutta”.
E alcuni arrivano anche dalla Svizzera francese e tedesca. Forse anche per il tuo ruolo istituzionale nel CdA di GastroTicino, come presidente di GastroLugano e in Lugano Turismo che ti ha fatto conoscere un po’ ovunque? “Certo, anche grazie alla federazione esercenti ho potuto moltiplicare i contatti e uno di questi mi ha permesso di fare ben 22 rassegne gastronomiche ticinesi al ‘La Couronne’ di Payerne. Per la pandemia l’abbiamo sospesa, ma riprenderemo nel 2022”. 
Quindi la gastronomia nel cuore… “La cucina è il mio mestiere, fatto con grande passione sia tra i fornelli che nelle fiere (ndr. Comptoir, Saperi e Sapori, ecc.) o come insegnante: 25 anni di docente di cucina alla Scuola esercenti”.
Ma anche trent’anni di sacrifici…  “Sacrifici economici, di tempo libero, rinunce. Quando fai questo mestiere devi avere la vocazione. O lo sai fare e lo fai con passione o è meglio lasciar perdere.  Quanti esempi di persone che aprono e chiudono pensando che fare l’esercente sia facile oppure permetta di diventare milionario in pochi anni. No, nemmeno negli Anni 60 quando c’era il boom”. 
E oggi? Come si fa a conservare questa vocazione, questa passione dopo un’esperienza come il COVID, tra chiusure e incertezze? “È vero, però sempre con la speranza di riaprire e ritornare più o meno quelli di prima, anche se non sarà mai così. È la gente che ci ha dato un’iniezione di fiducia. Dopo il primo lockdown, l’11 maggio abbiamo riaperto ed è stato un assalto, tutti ci dicevano ‘Che voglia avevamo di venire a mangiare da te. Volevamo venire da te!’”. Un rapporto quindi di amicizia… “In trent’anni te lo crei. Lo devi creare. Altrimenti hai sbagliato mestiere”. Quindi ‘vado dal Dany’, non al Giardino… “Sì. Questa è la cosa più bella, perché non vai al ristorante, ma dall’amico”. 

E i prossimi trent’anni? Come vedi il futuro della ristorazione? Dani e Monique scoppiano a ridere… “Gli anni passano anche per noi. Siamo giovani… con esperienza! Andremo ancora avanti qualche anno sino a che la salute tiene e la voglia c’è. Sono aiutato da una splendida donna: senza di lei sarebbe impossibile. Il dopo pandemia? Già siamo cambiati come persone, quindi anche come ristoratori abbiamo dovuto reinventarci. Ma chi avrebbe pensato di fare a Bombinasco il take-away… Mai me lo sarei immaginato (ndr. intanto una giovane oppia di turisti vodesi hanno ordinato per la sera due cordon-bleu da asporto…). Il futuro, però, non sarà tanto diverso dal passato perché il Ticino non è una grande città stravolta e sconvolta dalla pandemia. Siamo legati alle tradizioni”. 
E al territorio. Sei stato uno dei primi ad aderire a Ticino a Tavola... “Ho sempre lottato per promuovere la regionalità, già quando ero in Lugano Turismo. Se andiamo in vacanza in una destinazione, andiamo per il paesaggio, ma anche per l’enogastronomia. Andiamo a Parigi per la Tour Eiffel, ma anche per la sua gastronomia, andiamo in Valtellina per il verde ma anche per mangiare i pizzoccheri. Lo svizzero tedesco viene per il risotto alla ticinese… non per i piatti esotici. Va benissimo se c’è chi lipropone. Ma dobbiamo promuovere il nostro Cantone con la polenta, il brasato i prodotti locali, anche da servire con un tocco di modernità e creatività in più, inserendo anche qualche piatto non nostro ma che ormai fa parte della nostra tradizione”. Per esempio: chi non ha mai mangiato la famosa sella di capriolo alla Baden Baden? Andate in estate per la terrazza e tornate in autunno per provarla. A.P.


Copyright © Réserve Media Group 2020 | Credits | Impressum