Renato (dei Profeti) confessa:
“MI SONO ROTTO DI FARE IL CANTANTE, PER CUI HO SMESSO”
Ammettetelo: siete fra i tanti che, ai tempi, fischiettarono o canticchiarono “Gli occhi verdi dell’amore” o “Lady Barbara”, brani che devono la loro popolarità ad un complesso per molto tempo fra i più gettonati d’ Italia.
Stiamo parlando, l’avrete indovinato, dei Profeti e Renato Brioschi, loro frontman, che, a un certo punto della carriera, nonostante il successo decise di mettersi in proprio.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per sapere come sta vivendo l’emergenza COVID.
“Me la godo noiosamente, nel senso che, pur stando bene, non combino granché. Con il tempo sono diventato pigro. Di tanto in tanto la bicicletta, per rinforzare i muscoli, tenermi in forma, ma adesso fra freddo, per cui …”
Prima del COVID facevi serate?
“Da cinque anni ho smesso. Dopo quasi mezzo secolo di attività, uno può anche stufarsi di andare in giro. Facevo fatica, non ero motivato, addirittura sudavo, al punto che a un certo momento ho dovuto chiedere aiuto a uno psicologo, mio amico. Mi ha detto: ‘credo tu ti sia semplicemente rotto le scatole”. Allora ho smesso.”
Come è cominciata la carriera?
“Avevo diciassette anni e poca voglia di studiare. Ho fatto un po’ di tutto, poi fondato il complesso. Prima le feste studentesche, in seguito il professionismo. Da Sonar, per compiacere i discografici, divenimmo I Profeti. Non che il nome ci piacesse più di quel tanto, ma ha portato fortuna.”
Da tempo vi siete ritrovati, ma ci sono stati anni di silenzio…
“Si. Pensare che l’idea era di rimanere nel gruppo, perché io sono sempre stato più musicista che cantante. Incoraggiato dal successo riscosso da ‘Lady Barbara’ non potei fare a meno di mettermi in proprio. I discografici, del resto, insistevano. Inizialmente i Profeti la presero abbastanza bene, ma poi cominciarono a farmi piccoli dispetti, il rapporto si deteriorò. Proposi al gruppo di concedermi una piccola percentuale in più sulle vendite, visti gli spostamenti e gli impegni che come cantante ero costretto ad affrontare. Nell’ estate del 1970 tantissimi concerti la sera, mentre di giorno giravo dei musicarelli. Ero mezzo esaurito. Proposi pure di fare le cose in grande, seguendo l’esempio dei Pooh, i T.I.R., la teatralità, eccetera. Loro però non accettarono, per cui ognuno andò per la propria strada.”
Come hai vissuto il successo da solista?
“Non è stato facile. Fui costretto, tanto per cominciare, ad allenarmi nel bagno, i vocalizzi, il vibrato, perché non ero abituato a stare sul palco da solo. Poi a muovermi con prudenza, perché un certo tipo di stampa faceva più danni che buona pubblicità.”
Invidioso dei successi dei Profeti del “dopo Renato”?
“No, anzi. ‘Era bella’, “Non si muore per amore” e altri sono bei pezzi, da ogni punto di vista. Quello che non mi piace, invece, e ‘Cercati un’anima’, presentato a Sanremo, pezzo sbagliato.”
Occasioni mancate?
“Diverse. Ad esempio ‘Un tocco di magia’, che incisi io, ma più adatto a un Andrea Bocelli. Avrebbe venduto molto di più, pezzo da classifica.”